Fisioter Protection, al fianco di Cooperativa Balnearia e SIB Confcommercio, per la fornitura di mascherine sul litorale Pescara-Montesilvano.

Prende il via questa splendida iniziativa, resa possibile da una forte sinergia sul territorio abruzzese, che porterà le mascherine prodotte da Fisioter Protection all’interno di 100 stabilimenti balneari della costa pescarese.

A disposizione dei bagnanti saranno distribuiti dai balneatori, dispositivi medici che assicureranno altissima protezione, dimostrata da test di laboratorio effettuati in Italia, che conferiscono alle nostre mascherine un BFE (efficienza di filtrazione batterica) del 99.9%, oltre ad un eccellente comfort sul viso e ad un’ottima traspirabilità.

Nonostante il nostro Abruzzo sia al momento in “zona bianca” è importante non abbassare la guardia. Come ricorda infatti Riccardo Padovano, Presidente di Confcommercio Pescara e Cooperativa Balnearia “Siamo all’ultimo miglio dell’emergenza sanitaria, ma non al liberi tutti. Diciamo liberi, ma con prudenza”.

Le mascherine infatti, dovranno essere indossate sempre quando ci si muove nelle aree comuni dei lidi, quando ci si reca al ristorante, toilette e bar.

E qualora ci si dimentichi di potarla con sé, oppure accada che si rompa, i balneatori interverranno con un servizio utile alla propria utenza, offrendo un dispositivo che permetta di rilassarsi al mare ma con la dovuta sicurezza.

“La mascherina è e resta fondamentale. Dobbiamo continuare con prudenza e gradualità. La mascherina resta uno strumento fondamentale”. Con queste parole il Mondo Scientifico esorta gli italiani a mantenere alta la guardia, e continuare a proteggere noi stessi e gli altri.

Buona estate in sicurezza a tutti!

Credito d’imposta del 30% per l’acquisto di mascherine, tamponi e sanificazione

 

 

Credito d’imposta del 30% per l’acquisto di mascherine, tamponi e sanificazione

Il Decreto Sostegni Bis (Decreto legge del 25 maggio 2021 n. 73 Misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali) introduce il bonus mascherine e sanificazione, ovvero istituisce un credito di imposta del 30% per i dispositivi di protezione, compresi i tamponi per Covid-19.

Gli obiettivi del Decreto Sostegni Bis sono:

  • sostenere le imprese, l’economia e abbattere i costi fissi;
  • accedere al credito e dare liquidità delle imprese;
  • tutelare la salute;
  • sostenere il lavoro e le politiche sociali;
  • sostenere gli enti territoriali;
  • supportare giovani, scuola e ricerca;
  • applicare misure di carattere settoriale.

L’art. 32 del Decreto Sostegni Bis sancisce che il credito d’imposta al 30% è valido per le spese sostenute nei mesi di giugno, luglio ed agosto 2021 per la sanificazione degli ambienti e degli strumenti utilizzati, nonché per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale e di altri dispositivi atti a garantire la salute dei lavoratori e degli utenti, comprese le spese per la somministrazione di tamponi per Covid-19.

Detto credito d’imposta spetta fino ad un massimo di €60.000 per ciascun beneficiario, nel limite complessivo di 200 milioni di euro per l’anno 2021.

I beneficiari del Bonus mascherine, tamponi e sanificazione

Per quanto riguarda il profilo soggettivo, il Sostegni Bis comprende tra i soggetti beneficiari del bonus:

  • esercenti attività d’impresa, arti e professioni;
  • enti non commerciali, compresi gli enti del Terzo settore;
  • enti religiosi civilmente riconosciuti;
  • strutture ricettive extra-alberghiere a carattere non imprenditoriale a condizione che siano in possesso del codice identificativo di cui all’articolo 13-quater, comma 4, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58.

Quali le spese agevolabili con il bonus mascherine, tamponi e sanificazione

Per quanto riguarda l’ambito oggettivo, il bonus è valido per:

  • la sanificazione degli ambienti nei quali è esercitata l’attività lavorativa e istituzionale e degli strumenti utilizzati nell’ambito di tali attività;
  • la somministrazione di tamponi a coloro che prestano la propria opera nell’ambito delle attività lavorative e istituzionali;
  • l’acquisto di dispositivi di protezione individuale, quali mascherineguantivisiere e occhiali protettivi, tute di protezione e calzari, che siano conformi ai requisiti essenziali di sicurezza previsti dalla normativa europea;
  • l’acquisto di prodotti detergenti e disinfettanti;
  • l’acquisto di dispositivi di sicurezza, quali termometri, termoscanner, tappeti e vaschette decontaminanti e igienizzanti, che siano conformi ai requisiti essenziali di sicurezza previsti dalla normativa europea, ivi incluse le eventuali spese di installazione;
  • l’acquisto di dispositivi atti a garantire la distanza di sicurezza interpersonale, quali barriere e pannelli protettivi, ivi incluse le eventuali spese di installazione.

Come usufruire del bonus

L’utilizzo del credito d’imposta prevede due modalità:

  • direttamente nella dichiarazione dei redditi relativa la periodo d’imposta di esborso delle spese (periodo d’imposta 2021)
  • come oggetto di compensazione orizzontale ai sensi dell’articolo 17 D.Lgs. 241/1997. In questo caso, per espressa previsione legislativa, non si applica il limite ex articolo 1, comma 53, L. 244/2007.

È anche previsto che il credito d’imposta non rappresenta un provento rilevante sia ai fini delle imposte dirette (IRES e IRPEF) sia ai fini IRAP e che la detassazione del credito d’imposta non condiziona:

  • il rapporto di deducibilità degli interessi passivi ai fini Irpef ex articolo 61 Tuir;
  • il pro-rata di deducibilità dei costi ex articolo 109, comma 5, Tuir.

Come già riportato, le risorse destinate a tale misura ammontano a 200 milioni di euro per l’anno 2021. La Direzione l’Agenzia delle Entrate stabilirà con apposito provvedimento i criteri e le modalità di applicazione e fruizione del credito d’imposta.

Fonte: Interconsult

Occhio alla differenza tra CE e China Export

La forte richiesta di mascherine generata dalla pandemia ha fatto sì che il mercato fosse inondato di mascherine di ogni tipo. Ma come facciamo a capire quali, tra questi prodotti, sono davvero affidabili? Come capire se una mascherina chirurgica o una mascherina FFP2 riporta una marcatura CE originale?

C’è C E e CE. Dal 2006, esiste la marcatura C E: essa indica che un prodotto, importato da un Paese esterno all’Europa, è conforme alle leggi dell’UE e può quindi liberamente circolare all’interno del mercato unico. Si tratta di una dichiarazione di conformità che appone il fabbricante, che dichiara sotto la propria responsabilità e dopo aver effettuato le opportune prove e verifiche, che il prodotto è conforme ai requisiti di sicurezza previsti dai regolamenti comunitari.

Ovviamente, anche il marchio C E, come tutti i marchi, può essere contraffatto o apposto illegittimamente. Nessuno, perciò, può garantire in anticipo che ogni prodotto con tale marchio sia completamente sicuro.

Peraltro c’è chi gioca sulla confusione e sulla similitudine. Così alcune aziende cinesi si sono, per così dire, consorziate al fine di aggirare l’ostacolo della nostra certificazione di qualità e hanno creato il marchio alternativo CE, che sta invece per China Export.

Un’operazione per certi versi geniale, ma che, nello stesso tempo, mina la sicurezza del mercato e gioca sulla buona fede e distrazione della gente. Peraltro, le aziende che importano prodotti con il marchio China Export potrebbero avere seri problemi alla dogana o sarebbero, comunque, soggette al rischio di sequestro della merce.

Distinguere, allora, i due marchi diventa necessario e, a volte, vitale (non poche volte, i prodotti senza certificazioni di qualità si sono dimostrati mortali, come in molti casi di apparecchi elettronici esplosi nelle mani degli acquirenti).

Qualche minima differenza tra i due marchi c’è e bisognerebbe che tutti la conoscessero.

Il marchio C E, che sta per Comunità Europea, presenta una maggiore spaziatura tra la “C” e la “E”: lo spazio è quasi pari ad un’altra C rovesciata

Le lettere C ed E del marchio non devono essere più piccole di 5 millimetri e, nel caso siano più grandi, le loro proporzioni vanno comunque rispettate.

Il marchio dev’essere apposto o sul prodotto stesso, o sulla sua targhetta segnaletica. Se ciò non è possibile a causa della natura del prodotto, il marchio CE deve essere apposto sull’imballaggio e/o sui documenti di accompagnamento.

Al contrario, nel caso di “China Export”, le due lettere sono meno distanti, anzi quasi unite.

Un metodo pratico efficace per comprendere se il marchio è originale o meno è il seguente: se unendo virtualmente le lettere, come rappresentato in figura, si forma un otto, il marchio CE Comunità europea è originale. In caso contrario è una contraffazione.

Fonte: laleggepertutti.it  informazione e consulenza legale

Chi non si vaccina rischia il posto di lavoro?

Chi non si vaccina rischia il posto di lavoro?

Può un’azienda obbligare le sue persone a vaccinarsi? E chi si dovesse rifiutare, rischia il posto?
Nonostante la campagna vaccinale prosegua a rilento, sono queste le domande che iniziano a circolare nelle imprese, per capire come agire nei confronti del personale che non vorrà farsi vaccinare.
A un anno esatto dalla diffusione della pandemia di Covid-19, anche nel nostro Paese si è iniziata la somministrazione dei primi vaccini. Una boccata d’ossigeno per molte aziende, che intravedono la possibilità di far tornare a regime la produzione – recuperando il terreno perso nel 2020 – e poter presto rivedere (e magari superare) i numeri pre Coronavirus.
Tuttavia, ci sono persone che si sono apertamente già dichiarate contrarie al vaccino. E dunque resta da capire come le aziende possano agire nei confronti di questi collaboratori e quali provvedimenti è possibile prendere nei loro confronti. A indagare su questo tema è stata una ricerca realizzata a livello globale da Ius Laboris – alleanza internazionale di specialisti in Diritto del Lavoro – insieme con lo studio legale Toffoletto De Luca Tamajo, che ha raccolto l’opinione di 17 Paesi proprio sull’obbligatorietà di vaccinare i lavoratori contro il Covid-19.

Licenziamento solo come estrema ratio (e in casi specifici)

Il primo aspetto emerso dall’indagine è che nessun Paese tra quelli esaminati ha introdotto una legge che impone ai lavoratori di vaccinarsi. In moltissimi Stati – fra cui l’Italia – non è possibile obbligare una persona a sottoporsi a un trattamento sanitario, come ha spiegato anche Aldo Bottini, Partner di Toffoletto De Luca Tamajo.
Tuttavia, se questa è la legge, diversa può essere la prassi, soprattutto alla luce del fatto che ormai le aziende sono chiamate a tamponare i limiti dello Stato, facendosi anche carico della salute dei propri dipendenti. E poi ci sono imprese che operano a contatto con il pubblico – per esempio ospedali e supermercati – e che quindi hanno una responsabilità anche nei confronti di
soggetti terzi. Ecco perché il vaccino rappresenta una protezione della collettività, non solo del singolo individuo. Per questo, secondo Bottini, “il datore di lavoro può considerare il lavoratore che non si sottopone alla profilassi temporaneamente non idoneo allo svolgimento della sua mansione perché impossibilitato a renderla in sicurezza, per sé e per gli altri”.
Così, se in molti Paesi il licenziamento per la mancata vaccinazione non è contemplato, in quanto considerato illegittimo (è il caso di Belgio, Repubblica Ceca, Polonia, Lussemburgo, Messico e Argentina), l’azienda può tuttavia decidere di isolare il dipendente che si rifiuta di sottoporsi al trattamento vaccinale, farlo lavorare da remoto, imporre un cambio di mansione o addirittura sospenderlo senza diritto alla retribuzione.
In altri Paesi, fra cui l’Italia, il licenziamento resta un rimedio estremo e valutabile solo dopo aver tentato di applicare tutti gli altri provvedimenti, e che riguarda solo in settori ad alto rischio di contagio. Qualora l’allontanamento dal posto di lavoro si prolunghi, arrecando pregiudizio all’organizzazione, è dunque ipotizzabile un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

L’ipotesi di premiare chi aderisce alla vaccinazione

La ricerca di Ius Laboris ha poi fatto emergere anche un’altra questione che riguarda il trattamento dei dati sanitari dei lavoratori da parte delle aziende. Se in Polonia, Germania e Brasile i datori di lavoro possono accedervi e utilizzare i dati in ogni momento e senza una specifica ragione, in Messico, Repubblica Ceca e Russia è consentito conoscere le informazioni sulle
vaccinazioni dei propri dipendenti solo se queste sono necessarie allo svolgimento della mansione; in Italia, invece, come anche in Lussemburgo, le informazioni sanitarie dei lavoratori possono essere gestite esclusivamente dal medico competente per verificarne l’idoneità a svolgere la prestazione.
In questo periodo di forte incertezza, insomma, vige confusione anche dal punto di vista normativo e la soluzione più indicata potrebbe essere quella di inserire la vaccinazione fra i requisiti necessari per accedere alle professioni a contatto con il pubblico. “Alcuni Paesi, soprattutto nel Nord Europa, permettono ai datori di lavoro di destinare un premio ai dipendenti
che si sottopongono al vaccino
, anche se potrebbe essere considerato un trattamento discriminatorio verso chi, per esempio, non può essere vaccinato”, ha proseguito Bottini, sollevando un’ulteriore questione.
Come possono quindi le aziende giocare un ruolo decisivo in questa situazione? Per evitare di giungere a interventi disciplinari estremi, le imprese dovrebbero, nel loro (nuovo) ruolo di garanti della salute, promuovere una campagna formativa-informativa volta a sensibilizzare i lavoratori sull’importanza di sottoporsi alla vaccinazione anti Covid-19. Ecco, dunque, che spetta (ancora) alle organizzazioni occuparsi della cura delle persone.

Fonte: Parole di Management, Quotidiano di Cultura D’Impresa

Le mascherine entrano nel paniere ISTAT

Le mascherine entrano nel paniere ISTAT

Ogni anno, l’Istat rivede l’elenco dei prodotti che compongono il paniere di riferimento per la rilevazione dei prezzi al consumo, aggiornando contestualmente le tecniche d’indagine e i pesi con i quali i diversi prodotti contribuiscono alla misura dell’inflazione.

Le novità del 2021, con riferimento sia ai pesi sia al paniere, riflettono la costante evoluzione dei comportamenti di spesa delle famiglie ma anche l’impatto di eventi, come la pandemia tuttora in corso, che condizionano le scelte d’acquisto e la struttura della spesa per consumi.
Nel paniere del 2021 utilizzato per il calcolo degli indici NIC (per l’intera collettività nazionale) e FOI (per le famiglie di operai e impiegati) figurano 1.731 prodotti elementari (1.681 nel 2020), raggruppati in 1.014 prodotti, a loro volta raccolti in 418 aggregati.
Per il calcolo dell’indice IPCA (armonizzato a livello europeo) si utilizza invece un paniere di 1.751 prodotti elementari (1.700 nel 2020), raggruppati in 1.033 prodotti e 422 aggregati.
Oltre che delle novità nelle abitudini di spesa delle famiglie, l’aggiornamento dei beni e servizi compresi nel paniere tiene conto dell’evoluzione di norme e classificazioni e in alcuni casi arricchisce la gamma dei prodotti che rappresentano consumi consolidati.
Tra i prodotti rappresentativi dell’evoluzione nelle abitudini di spesa delle famiglie e delle novità normative, entrano nel paniere 2021: integratori alimentari, caschi per veicoli a due ruote, mascherine chirurgiche, mascherine FFP2, gel igienizzante mani, ricarica elettrica per auto, monopattino elettrico sharing, servizio di posta elettronica certificata e dispositivo anti
abbandono.
Tra i prodotti che appresentano consumi consolidati, entrano nel paniere, tra gli altri, la macchina impastatrice (tra gli apparecchi per la lavorazione degli alimenti) e la bottiglia termica (tra gli utensili da cucina non elettrici e articoli domestici non elettrici).
Nessuno prodotto esce dal paniere 2021 poiché tutti quelli già presenti non mostrano segnali di obsolescenza tali da motivarne l’esclusione.

Fonte: Istat

Il medico di Famiglia e le nuove tecnologie: gli strumenti comunicativi ai tempi del Covid-19

Il medico di Famiglia e le nuove tecnologie: gli strumenti comunicativi ai tempi del
Covid-19

In un periodo storico in cui, causa Sars-Cov-19, è aumentata la distanza tra le persone, è sempre più frequente il ricorso a strumenti digitali al fine di attingere e/o erogare un servizio, una prestazione o un’informazione.

La figura del Medico di Famiglia è sicuramente coinvolta in un processo di trasformazione profonda della società. Abbiamo assistito in pochissimo tempo a un mutamento del rapporto comunicativo medico-paziente. In epoca pre-Covid-19, la maggior parte dei medici di medicina generale erano restii a concedere al paziente la possibilità di essere contattati tramite applicazioni
di messaggistica istantanea. Tutto ciò è stato concesso nel giro di poche settimane da un numero sempre crescente di colleghi, dato che si è ritenuto utile e quanto mai opportuno e funzionale al fine di limitare l’accesso negli studi medici solamente per motivi di salute e necessità di visita medica.
Tramite le nuove tecnologie comunicative si è, quindi, reso maggiormente possibile esprimere nuovi elementi di telemedicina; pensiamo per esempio al tele-monitoraggio del paziente positivo al Covid-19 e costretto al proprio domicilio. Questi processi di cambiamento hanno incontrato negli anni passati naturali resistenze per il timore, spesso fondato, che venissero tradite le finalità originali per cui queste forme di comunicazione informatica sono state introdotte e ancora oggi, ci stiamo trasformando in medici di famiglia 2.0 senza aver avuto il tempo di comprendere appieno quali saranno le conseguenze e il reale impatto che comporterà l’uso di queste nuove tecnologie.

Quanto utilizziamo i social network

Dopo aver effettuato questo passo in avanti, non si potrà più facilmente tornare indietro, anche perché sono, oramai, svariati i social media che utilizziamo per comunicare e fanno parte delle vite di ognuno di noi, come dimostra l’ultimo rapporto We are Social 2020 prodotto a gennaio 2020 da Hootsuite.
Non sorprende, quindi, che da questa ricerca risulti che circa il 49% delle persone nel mondo usa almeno una piattaforma di social media. L’Italia si colloca a metà strada, con una percentuale di uso di almeno una piattaforma di social media da parte del 58% degli italiani, pari a circa l’80% di chi naviga in rete.
Secondo l’ultimo rapporto Censis sulla comunicazione (riferito al 2019), YouTube è la piattaforma preferita degli italiani (con il 57% dell’intera popolazione), seguita da Facebook (55%), Instagram (36%), Twitter (13%) e LinkedIn (9%). Lo stesso report si sofferma sull’uso delle principali piattaforme di Instant Messaging (la messaggistica istantanea). In testa a questa speciale classifica si trova Whatsapp (con il 71% dell’intera popolazione italiana) seguita da Telegram (11%) e Snapchat (5%).

I social e la divulgazione scientifica

Questa tipologia di analisi mette in evidenza quali possono essere potenziali strumenti anche per la divulgazione scientifica e la corretta informazione della popolazione. Quindi, una risorsa da più punti di vista anche per un settore sanitario in evoluzione come quello delle cure primarie. Nel tempo, si sono introdotte norme di comportamento e linee guida a livello istituzionale e nei singoli studi che hanno sicuramente agevolato l’impiego di queste nuove tecnologie.
Va sottolineato che il rapporto comunicativo medico-paziente deve sempre essere governato da parte dei primi. L’uso delle tecnologie, quindi, va promosso con delle regole, dei paletti fondamentali. Si ritiene, per esempio, opportuno precisare che le applicazioni di messaggistica istantanea e la casella di posta elettronica saranno attivi in prestabilite fasce orarie, al fine di
consentire solo determinati aspetti dell’attività dello studio medico, per esempio:
–  l’invio telematico di ricette dematerializzate;
–  la ricezione di referti e relazioni ospedaliere e specialistiche (laddove, la parola ‘ricezione’ non equivale a ‘presa visione’);
–  richiesta di prenotazione per appuntamento per visita medica.
Fondamentale precisare che le applicazioni di messaggistica istantanea impiegate all’interno di uno studio medico non possono rispondere per ovvi motivi al concetto di ‘istantaneità’ per cui sono state ideate. La tecnologia non può sicuramente sostituire una mano su un addome di un paziente, un fonendoscopio poggiato sul cuore, un volto umano capace di rassicurare, infondere
fiducia, empatizzare e in definitiva accogliere le problematiche di un paziente, ma può sicuramente aiutare ad accorciare i tempi e le distanze nella trasmissione di dati e informazioni.


Fonte: Medicalfacts di Roberto Burioni